LA FIGURA DELL’OPERATORE DI TEATRO NEL SOCIALE

 

Siamo artisti, attori, registi? Oppure psicologi, educatori, pedagogisti? Si paventa un dilemma tra “teatro” e “sociale”. La confusione stimola il pensiero. Se fossimo pescatori dovremmo immergere le nostre reti un po’ qua e un po’ là, un solo mare non basterebbe. Allora facciamo quello che ci riesce meglio, prendiamo in prestito la poesia, scomodiamo i sognatori, chiamiamo i filosofi e consultiamo i teorici. Noi insegniamo speranza, la speranza che insieme si può andare da qualche parte; forse non vedremo un luogo preciso, una luce, non tracceremo una strada dritta e senza ostacoli, ma la percorreremo insieme.

L’operatore di teatro nel sociale è consapevole della sua inevitabile interazione con la sensibilità e vulnerabilità umana e pertanto necessita di requisiti quali:

La competenza,

ossia la sua esperienza e le buone prassi, acquisite nel percorso formativo che gli permette di creare un “contenitore relazionale protettivo”, in cui le persone possano sentirsi al centro,  possano avere uno “spazio di manovra” espressivo, comunicativo e creativo, e nello stesso tempo si possano sentire al sicuro.

La conoscenza,

ossia l’insegnamento acquisito nel percorso formativo, che gli permette di:

riconoscere il potenziale, ma soprattutto i rischi che possono derivare dagli stimoli proposti all’interno del “contenitore” (il teatro con le sue tecniche, dinamiche ed attivazioni);

proporre una particolare declinazione di teatro che, in questo contesto, viene usato come strumento di stimolazione (la creazione di occasioni di incontro, nel senso più ampio quello con se stessi, con le proprie risorse e con gli altri…)

La ricerca,

ossia la costante formazione personale e la costante messa in discussione delle proprie competenze e conoscenze